MESU BETESH: I RIBELLI E IL CULTO DI SET-HEN
- Hekatean J.
- 19 giu 2018
- Tempo di lettura: 5 min
Un grazie a VLTIMVS.515 per questo articolo.

Solo una decina di anni fa, quando si parlava di Satanismo, ci si immaginava un gruppo di persone in aperto contrasto con il resto del mondo, fiere della propria diversità e a proprio agio con l'emarginazione dai canoni imposti dalla società. Oggi questo immaginario è stato soppiantato. Da una parte le rockstar dell'occultismo, che non danno nessun apporto culturale, ma che perpetrano unicamente una facciata da alternativi, fondata sull'infinita ripetizione di schemi, idee, tradizioni che in verità non appartengono loro. Dall'altro, un'infinita sfilata di persone che pretendono di rappresentare il culto di Satana, e di farlo con le stesse ridicole dinamiche con cui condurrebbero la Santa Messa. Nessuna profondità spirituale, nessun rischio sociale, nessuna rottura con il mondo, nessuna fierezza della propria diversità e nessuno spirito di reale opposizione, né filosofica, né culturale, né morale, ma soltanto la sostituzione del Dio abramitico con una parodia di Satana l'avversario, e di Lucifero il portatore di luce.
Per riscoprire e dare lustro alla filosofia satanica è necessario ritrovare il coraggio. Sì, le palle quadrate che hanno avuto i nostri predecessori, a qualunque corrente essi siano appartenuti, di opporsi e dire alla società “fanculo, noi siamo così, queste sono le nostre idee, e questi siamo noi!”. E inutile pensare di strisciare fuori da dei loculi socialmente imposti per elemosinare spazio e rispetto. Lo spazio e il rispetto, se non vengono dati, ce li si deve prende. A costo di strapparli con le unghie e con i denti, perché se il rispetto giunge attraverso la prostrazione ai piedi di qualcun altro non è reale, è una presa in giro, un'ennesima maschera: dietro alla tolleranza non si nasconde vero rispetto, solo malata accondiscendenza. Intollerabile per un Satanista, intollerabile per chi fa dell'archetipo dell'oppositore il proprio punto di riferimento; e intollerabile anche per un Luciferino, per il quale la libertà è la prima e massima conquista sociale, morale, culturale e, ancor più, personale. Essere liberi non significa strisciare, mettersi in mostra, fare i fenomeni da baraccone e perciò convincere l'opinione pubblica di qualcosa. Essere liberi è, piuttosto, farsi una grassa risata alle spalle degli ignoranti e continuare a camminare sulla propria strada, sprezzanti del lapidario giudizio che le scimmie ammaestrate dal sistema vomitano sui liberi pensatori.
I Satanisti sono i Mesu Betesh, i ribelli, i seguaci di Set-hen, coloro che portano Isfet nel mondo: la violenza, la rivolta, il rinnovamento sociale attraverso il sangue, che esso sia esso della carne o della mente – perché nessuna vera rivoluzione si fa senza versare sangue e uccidere il vecchio. I Satanisti sono coloro che portano nel mondo la paura, che fanno trionfare la tenebra sulla luce, il caos sull'ordine, il nuovo sul vecchio, il diverso sul normale, il terribile sul rassicurante, l'orrorifico sull'armonico, i moti di distruzione su quelli di infinito accumulo, l'orgoglio sulla prostrazione, l'identità sulla servilità, la libertà sulla schiavitù. E lo fanno a costo di devastare se stessi e la società, perché sanno che per liberarsi da una catena a volte bisogna spezzarsi una mano, ma nessun prezzo è troppo alto per essere veramente se stessi.
Il Satanismo tradizionalista lo sa bene: ogni tempo, ogni cultura, ogni religione ha avuto al suo interno la propria corrente d'opposizione, definita “satanica” non perché ogni entità malevola sia da ricondurre al Satana biblico, ma per il significato stesso della parola satan: oppositore, avversario, aggressore. La tradizione egizia non è stata da meno e ha regalato al mondo un concetto ancora oggi comprensivo della maggior parte dei temi legati al Satansimo, esprimendo con il termine Isfet il legame intrinseco fra tenebra, male, caos, distruzione, violenza, disarmonia, inequità. Così come Ma'at (verità, amore, giustizia), anche Isfet fu un concetto filosofico divinizzato fin dall'Antico Regno, personificato e venerato come divinità. Ma a differenza di Ma'at, considerata figlia ed emanazione luminosa del demiurgo Ra, creatore e ordinatore, Isfet venne invece legato a Set-hen, tanto che in alcune teologie e fasi della religione egizia essi coincidevano. Set-hen-hen, avversario di Horus, dio del deserto, della carestia, della siccità, di tutte le condizioni ambientali avverse alla vita, protettore dei ribelli e dei nemici, era il Dio Rosso al cui seguito giungevano i Mesu Betesh, la sua schiera di adoratori e servitori sovrannaturali, raffigurati a volte come diavoli rossi, che aiutavano lui e il serpente Apophis nella battaglia costante contro il sole Ra, fino alla fine dei tempi,
quando la tenebra avrebbe finalmente sconfitto la luce e causato la distruzione di tutto il creato. Per questo, mentre la luce rappresentava l'ordine sociale, il bene, la sicurezza della civiltà, la tenebra che calava con il tramonto del sole era invece il caos, il male, la distruzione di ogni legame civile e sociale. Per questo, in un mondo visto come di per sé ambiguo e indefinito, la parola del Faraone era la legge di Ma'at, che distingueva il vero dal falso, il bene dal male, assicurando la vittoria di Ra e mantenendo l'ordine nel mondo. Per lo stesso motivo, i Mesu Betesh incarnavano Isfet e, nel perfetto equilibrio fra l'ordine del Faraone e il disordine portato dagli adoratori di Set-hen, la società era equilibrata e prospera, poiché ognuno era ora agente del bene, ora agente del male, secondo le situazioni, le inclinazioni, le necessità, senza che venisse mai istituita una reale distinzione. Di fatti, sebbene in epoca più tarda la figura di Set-hen venne demonizzata, essa era ritenuta parte integrante non solo del pantheon, ma anche del culto, tanto che diversi Faraoni ne portarono il nome.
Come esplica il mito eliopolitano, dopo che Horus sconfisse Set-hen, Iside liberò l'assassino di suo marito e lo esiliò, scacciandolo dal regno perché pace e prosperità tornassero sovrane. Da qui Set- hen divenne il dio degli stranieri, ma soprattutto quell'elemento caotico e intrinsecamente malvagio, legato in epoca più tarda al greco Typhon, necessario perché la società, conoscendo e riconoscendo il male, si mantenesse ordinata e benevola. Non solo un esempio comportamentale comunque, ma una corrente sottesa tanto all'interno del cuore umano quanto del culto.

Nell'epoca contemporanea è fondamentale riscoprire questa tendenza al caos e alla distruzione, è necessario sperimentare il male a più livelli ed è necessario che l'oppositore, sia esso umano o sovrannaturale, mantenga il suo carattere ribelle di avversario e distruttore, in modo che la società resti tale: che le pecore si mantengano in greggi ordinati, che i cani da pastore continuino ad abbaiare ai lupi, e che i lupi possano così mostrare la loro vera natura, seguendo il proprio istinto, facendosene fregio ed essendo se stessi. I lupi sono quelli che irrompono nel recinto, afferrano una pecora, ne fanno brandelli, e si sfamano della carne, del sangue e, non di meno, della violenza e del crimine. È implicito che ogni società ha le sue regole, di cui tanto il lupo, quanto il cane e la pecora, sono consapevoli. Il fatto è che mentre cani e pecore assecondano le regole, il lupo cerca con furbizia di aggirarle per poter essere libero (anche dal carcere) pur mantenendosi in una zona grigia. Va da sé anche che il crimine è tanto un fatto legale, quanto più che altro un fatto ideale e morale. Se il primo è sconsigliato, salvo assumersi pienamente la responsabilità delle proprie azioni, il secondo è invece imprescindibile e ha un valore filosofico che si può negare: il crimine è di per se avverso alla società, alla legge, all'ordine e al mondo stesso. Insieme all'eresia, è il fondamento dell'opposizione, la base su cui si regge la natura del Satanismo come movimento avversatore dell'esistenza stessa. E non bisogna avere paura di affermarlo, né cercare di denaturare il Satanismo per trasformarlo in un'ennesima forma di cieca adorazione di regole, norme, divinità, trasfigurando l'anima di questa filosofia in una parodia ridicola in cui, al posto che cercare la libertà dallo stereotipo e dal dogma, ci si riveste di altre maschere, al solo fine di rendere la propria (falsa) diversità accettabile agli occhi di una società che, comunque, rifiuterà sempre il diverso. Come sempre è stato, e come sempre sarà.
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