La falsa "solidarietà meccanica"
- Hekatean J.
- 1 giu 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 13 feb 2020

di Hekatean J.
La vista di questa immagine non mi ha lasciato indifferente.
Piuttosto mi ha suscitato noia e fastidio per l’espressione massima di ipocrisia da un lato, e il suo fine di attaccare subdolamente l’inconscio del pubblico dall’altro (questo è solo un esempio) demonizzando come al solito il denaro ed il benessere di una grande fetta della società moderna.
Chi ha sradicato dal suo essere il senso di colpa, nella concezione più cristiana possibile, potrà capire senza problemi la mia perplessità.
Una “brava” persona è perennemente bombardata da termini e messaggi chiari o subliminali come “carità”, “integrità”, “uguaglianza”, “empatia”, “etica”, “morale”, “umanità”.
Concetti e messaggi che finiscono per essere assorbiti dalla moltitudine degli individui come fossero tossine e penetrano sino al sentire più profondo.
Il buon Nietzsche, dell’umanità intesa come approccio verso il prossimo, scriveva: “La mia umanità consiste non nel simpatizzare con gli altri, ma nel sopportare la loro vicinanza. La mia umanità è una continua vittoria su me stesso”.
Pensiero nobile francamente molto condivisibile.
Concetti e parole cariche di empatia come quella espresse qualche riga sopra, sono parole e concetti mediocri.
“Dio è una risposta mediocre”, continuava il filosofo tedesco nel suo Ecce Homo.
La curiosità, il dubbio e l’impertinenza ci portano al di là di risposte lasciate a metà , proprio come “Dio” elemento unico di inizio e fine oltre il quale, stupidamente, non ci si dovrebbe interrogare, accettando ad occhi chiusi cause e situazioni criticabili e inaccettabili.
La “morale” veniva vista dal filosofo tedesco come una Circe dell’umanità. Colpevole di aver falsato, “demoralizzando” la psicologia dell’uomo fino a rendere “legge” la concezione dell’Amore come un qualcosa di “non egoistico”. Morale come strumento per andare contro alla vita stessa. Abbattere le differenze individuali per la realizzazione di un gregge, castrato della propria essenza, un gregge di "persone buone" è il vero peccato mortale. Tutto ciò che è malato, spersonalizzato e omologato a questa morale è un crimine contro la vita e la natura. L'individuo smette di essere individuo. La morale della rinuncia a se stessi è davvero la massima espressione della morale della decadenza.
“Nell’intimo delle cosiddette belle anime c’è un qualche squilibrio fisiologico”.
Anton LaVey nel suo “The devil’s notebook” (una interessante e sarcastica raccolta di scritti) affronta, tra i diversi temi, anche il rapporto dell’uomo nella società moderna e in relazione a quelle belle parole altisonanti elencate prima, considerate come parte fondamentale dell’equilibrio emozionale delle masse.
Lui parla del “Goodguy badge”. Cosa sarebbe ? È l’identikit, il biglietto di presentazione dei cosiddetti “bravi ragazzi”.
Se un tempo il Papa di turno su larga scala e il parroco di provincia proclamavano i loro “diktat” al popolo, recipiente ricettivo di norme comportamentali del vivere quotidiano, oggi questi proclami avvengono per via dei mass media.
È un “peccato sociale” non avere l’iphone, le scarpe di marca, whatsapp o Facebook.
La totalità dei “fedeli del nuovo millennio” non si esimerà dal dare uno sguardo stranito colmo di rimprovero o sdegno nel sapere che tu non possiedi un account Facebook.
Come fai ad esistere senza di esso ?
L’esistenza corre a cavallo di byte e megabyte, oggi.
Non occorrono piú encicliche per certi versi.
Gli sponsor, i banner, il sentire comune (della popolazione media) svolgono il mestiere.
LaVey utilizza la parola “eustress”, ovvero un approccio di vita basato su un tira e molla tra due sentimenti opposti : paura-divertimento (fun-fear).
L’uomo vive di stress a tal punto che lo reputa ormai inconsciamente una necessità.
Laddove la paura, l’insoddisfazione, la mancata affermazione sociale o di carriera prende il sopravvento, la via di fuga viene ritrovata nel rendersi “occupati”, rendendo sopportabile quanto di depressivo e schiacciante.
Ecco allora quella che Durkheim chiamava “Solidarietà meccanica”. È in realtà una devianza, un gioco conflittuale tra il reale ed il reale, tra il necessario e il falsato.
Un semplice atto di carità gratifica le coscienze piû vacillanti.
Non solo, dà persino l’illusione di accrescere il proprio ego.
La mancia, l’elemosina, la donazione sono il più delle volte atti che gratificano la coscienza del donatore. Fare la buona azione quotidiana, sentirsi superiori, affermare la propria sicurezza economica a discapito di chi riceve quest’atto “caritatevole”.
Peccato che il tutto nasce e muore nella manciata di pochi secondi e il “goodguy” torna alla sua misera e falsata vita.
Va da se che un mondo di pace e benessere è utopico quanto impossibile.
Il male, inteso come susseguirsi di eventi incontrastabili, gode di diversi aspetti, qualità e finalità persino necessarie. (p.s. fa bene leggere il capitolo dedicato alle diverse concezioni di male ne “La Kabbala e la magia goetica di Thomas Karlsson).
Il male estremo porta a cambiamenti sociali.
Alcune decadi fa in America nacque una rivista che ebbe vita breve. Il titolo era “Good news” e si impegnava a raccontare solo buone notizie.
Ovviamente la rivista fu un fallimento.
Il bene non vende.
La gente ha bisogno del male, delle disgrazie altrui per esorcizzare la paura delle medesime nella propria vita.
I vari “je suis Paris, Je suis Nice” all’indomani di un attacco terroristico sono esempi lampanti della Durkheimiana “solidarietà meccanica” che si mette però in azione nel momento in cui un pericolo si affaccia nelle vicinanze di casa nostra, del nostro microcosmo.
Nessun atto terroristico avvenuto nelle Filippine ha contato un “je suis Filippine” nelle pagine Facebook. Il pericolo era fin troppo lontano da poter suscitare sgomento in noi europei.
Tornando all’immagine principale del post, devo ammettere che suscita ilarità.
Come non notare il marchio della Apple in primo piano.
Qual è il messaggio? La disparità o la propaganda della mela ?
Le verità sono mille e ognuno fa propria la sua.
Dovremmo sentirci colpevoli per il nostro benessere ?
Tra l’altro questo articolo, ironia della sorte, lo scrivo appunto da un Macbook.
La demonizzazione del denaro, di chi ne ha e chi ne fa è ripugnante.
La sacralità della scelta e della libertà individuale dovrebbe essere inattaccabile.
Io sono, io decido, io ne pago le conseguenze, io ne godo i benefici.
Tutto il resto sono solo chiacchiere che non toccano minimamente chi di quella pseudo-moralità buonista si è ampiamente sbarazzato.
Il mondo sarebbe migliore senza questa moltitudine di crociate della moralità`.
Letture consigliate:
Anton LaVey "The Devil's notebook"
Friedrich Nietzsche "Ecce Homo"
Nachman Ben-Yehuda "Deviance and moral boundaries"
Thomas Karlsson "La Kabbala e la magia goetica"
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